A.D.I.sd.
Associazione degli
Italianisti – Sezione didattica
____________________________________________
____________________________________________
La buona scuola che vogliamo
Il rapporto La buona scuola. Facciamo crescere il paese, pubblicato dal governo
Renzi il 3 settembre 2014, propone all’attenzione dell’opinione pubblica il
tema cruciale della formazione dei giovani, riaprendo sulla scuola il confronto
fra le diverse componenti sociali e professionali.
Anche noi Italianisti dell’ADI-sd interveniamo
nel dibattito, nell’auspicio che per la scuola italiana si possa elaborare una
progettualità politica e culturale di lunga gittata e, nell’immediato, si
possano realizzare interventi concreti, poiché dare qualità e risorse alla scuola
significa dare «qualità alla democrazia». Come dichiara il rapporto, sarebbe
dannoso continuare oggi «a pensare in piccolo, a restare sui sentieri battuti
degli ultimi decenni» (Rapporto, p.
2).
Le nostre osservazioni
A differenza di altri documenti del
passato, nazionali ed internazionali, il testo non affronta due interrogativi
strategici:
-
quali sono i principi ispiratori e le direttrici
culturali più significative da seguire per realizzare l’obiettivo di una “buona
scuola”?
-
di quali dimensioni psico-pedagogiche, epistemologiche,
didattiche e sociali, è necessario tener conto, in relazione ai soggetti
dell’apprendimento, per conferire efficacia, nel presente e nel futuro, alle
ipotesi prescelte?
Il rapporto governativo segue
invece un percorso focalizzato su aspetti di natura politico-amministrativa e
solo “di scorcio” riprende e fa proprie elaborazioni e tematiche già affrontate
nel mondo scolastico, inserendole, con un proprio linguaggio, nel tessuto
argomentativo sviluppato.
Risulta apprezzabile il fatto che
venga affrontato un problema gravoso e non più rinviabile come quello del
precariato (oggetto di un pronunciamento della Corte Europea), offrendo al
dibattito un’ipotesi di soluzione; altrettanto si può dire, in generale, dei
provvedimenti concernenti l’organico funzionale dei docenti; della piena
attuazione delle reti di scuole sul territorio; del ripristino del tempo pieno;
della semplificazione burocratica.
Emerge inoltre un’attenzione al
profilo e al ruolo del docente, dalla formazione iniziale ai momenti di
crescita della professionalità, dalla differenziazione di compiti e figure
organizzative alla progressione di carriera.
Sulle risorse economiche – ora
ulteriormente decurtate dalla recente legge di stabilità (art. 28) – e sulle
azioni prospettate per rendere concrete ed efficaci tali proposte sono state
sollevate, nell’ampio dibattito pubblico fin qui svoltosi, condivisibili perplessità
e critiche - individuali e collettive - riferite tra l’altro all’assenza, nel
rapporto, di spazi dedicati alla legittima contrattazione sindacale tra le
parti.
Dal canto nostro siamo
profondamente interessati al progetto di ridisegnare un profilo del docente,
fondato su una qualificazione culturale e professionale realmente certificabile
in modo congruente alla funzione, che riconosca diritti e dignità a tutti gli
insegnanti. Vogliamo tuttavia sottolineare che questo riconoscimento passa anche
attraverso la via di una valorizzazione economica significativa, tanto più
improcrastinabile quanto più, negli ultimi anni, è stata ripetutamente
disattesa a causa della logica dei tagli. Per questo suscita la nostra convinta
disapprovazione la sostanziale decurtazione degli adeguamenti stipendiali
(scatti), che si nasconde sotto la dichiarata valorizzazione del merito.
Il Rapporto del Governo fotografa l’attuale sistema, con
particolare impegno nel fornire, per alcuni aspetti, dettagli anche
numericamente precisi. Non tiene conto, però, di innumerevoli esperienze che
nella scuola si sono sviluppate negli anni recenti e, in alcuni casi, sono
ancora in corso. Si tratta di un patrimonio di progetti, ricerche,
sperimentazioni e riflessioni che non va ignorato né disperso, ma va piuttosto
valorizzato, in quanto frutto dell’impegno di tanti insegnanti che si sono
misurati con le diverse situazioni critiche, con la necessità dell’innovazione della
didattica disciplinare e per competenze o con le urgenze che il contesto degli
ultimi anni ha prodotto, anche in vista delle valutazioni, nazionali e
internazionali.
Raccomandazioni
Centralità dello studente. Entrando maggiormente nel merito del
progetto educativo, ci preme ribadire come primo punto la centralità dello
studente. I bisogni formativi dei giovani, destinatari e soggetti del sistema
di istruzione, tracciano le coordinate del nostro sguardo sulla scuola e sull’intreccio
delle implicazioni cognitive, sociali,
civiche, emotive e critiche, sotteso a ogni processo di apprendimento/insegnamento.
Quando ci chiediamo quali cittadini immaginiamo nell’umanità del futuro, non sono
solo i documenti di indirizzo europei a dirci che dovranno possedere strumenti
e competenze molteplici ed elastiche, per inserirsi in un mondo complesso e
multiculturale, instabile, fluido, nel quale una trasformazione veloce investe
in profondità i modelli culturali, la produzione e la fruizione dei beni, le
modalità di partecipazione politica, l’esercizio dei diritti, l’accesso all’informazione.
In questo contesto, un aggancio pratico ed estemporaneo con le realtà
economiche o produttive del territorio non è sufficiente per dare
agli studenti la reale misura di cosa sia il mondo del lavoro. Ciò che serve è
un bagaglio di sapere solido, aperto e critico, che consenta di orientarsi
nella complessa e contraddittoria interazione tra globale e locale, tra
interessi economici e diritti inalienabili.
La didattica laboratoriale. Ben venga il potenziamento delle dotazioni tecnologiche
delle scuole, che il Rapporto promette,
purché non si generi un equivoco: deve restare chiaro che le tecnologie sono
esclusivamente strumenti, non risposte o soluzioni ai problemi della scuola. In
primo luogo, il discrimine che rende utili ed efficaci i supporti tecnologici è
la consapevolezza culturale, non l’abilità strumentale, del docente. In secondo
luogo, la metodologia euristica e la didattica laboratoriale non riguardano
solo l’ambito tecnico-scientifico ma anche l’area umanistica. A nostro avviso,
proprio la didattica laboratoriale e attiva, incoraggiando in classe la
responsabilità, la cooperazione e la reciprocità orizzontale e verticale, può
anzi potenziare in tutti gli indirizzi scolastici la funzione formativa e
critica dello studio letterario, indispensabile, al pari di quelli linguistico-comunicativo
e storico-artistico, per l’acquisizione di competenze argomentative e interpretative,
di categorie di giudizio, di strumenti culturali per l’esercizio consapevole
della cittadinanza.
Il profilo degli insegnanti. Corollario evidente di questa pluralità di compiti
formativi è la trasformazione delle responsabilità degli insegnanti, il cui
profilo professionale richiederebbe certo nuove competenze, come quelle già
elencate da Perrenoud (Dieci Nuove Competenze per Insegnare. Invito al viaggio, Roma, Anicia 2002),
ma anche inediti riconoscimenti sociali della loro funzione intellettuale di
mediazione, tra le generazioni, di saperi, di memorie, di lingue e culture.
Oltre a una padronanza ampia e
strutturata dei propri ambiti disciplinari e alla consapevolezza della
spendibilità didattica delle conoscenze, è indubbio che un buon docente debba
avere anche la disponibilità al diritto-dovere della formazione continua (lifelong learning), per ridefinire saperi,
quadri teorici e competenze metodologico-didattiche disciplinari da verificare
in situazione. Tuttavia, se si conviene che l’abitudine metariflessiva, il
lavoro cooperativo e la capacità di “imparare ad imparare” sono oggi requisiti ineludibili
della professionalità docente, perché «mettersi in gioco paga» (Rapporto, p. 44), anzitutto nel lavoro
in aula, allora l’impegno governativo per favorirne l’acquisizione dovrebbe essere
prioritario e incondizionato. Per questo la formazione degli insegnanti,
iniziale e in servizio, è, a nostro avviso, il nodo cruciale sul quale si
misura ogni progetto credibile di miglioramento della scuola.
La formazione iniziale. La prima formazione,
che spetta all’università, deve avere un profilo scientifico forte; la sola
laurea triennale non garantisce la padronanza disciplinare ed epistemologica
necessaria per insegnare. Una reale competenza didattica di Lingua e
Letteratura, per esempio, aperta all’interdisciplinarità, all’interculturalità,
all’attualizzazione, ma anche all’impiego sensato delle nuove tecnologie a supporto
della metodologia laboratoriale, implica teoria e riflessione interne ai saperi
disciplinari. È nostra convinzione, infatti, che solo una salda preparazione possa
garantire una efficace mediazione didattica, attenta sia ai contesti di insegnamento/apprendimento
sia agli specifici statuti epistemologici e critici. Ci preoccupa molto perciò l’idea
di destinare il biennio di specializzazione a non ben precisati corsi di didattica
e pedagogia «per materie affini». In tale modo anche la formazione iniziale verrebbe
fatta al ribasso, a scapito di una competenza disciplinare e didattica di
qualità.
La formazione in
servizio. Incondizionato
è il nostro apprezzamento per la decisione di far tornare obbligatoria la
formazione in servizio: lo giudichiamo un passo decisivo e indispensabile per
qualificare il profilo degli insegnanti, come di chiunque svolga una
professione intellettuale. Non possiamo
che condividere i passaggi del Rapporto in
cui, a proposito della formazione dei
docenti e della tassonomia delle loro competenze, si insiste sul sapere critico
e non «solo codificato» (pp. 45-46) e sul «superamento di approcci formativi a
base teorica» (p. 47).
Su un aspetto tuttavia è necessaria la massima trasparenza:
laddove si collega la formazione in servizio alla carriera e all’avanzamento
stipendiale, si introduce il sistema dei crediti, di diverse tipologie. Le
procedure di acquisizione dei crediti appaiono ambigue e farraginose: a
“valere” per la progressione in carriera saranno incarichi e attività connesse
con il funzionamento della scuola, e non con la formazione culturale, la
sperimentazione didattica, la riflessione. Si profila il rischio di isterilire
irrimediabilmente il rapporto degli insegnanti con il sapere, e di indurre i
docenti ad impegnarsi in una ardua e macchinosa competizione, che non gioverà
alla buona cooperazione. Inevitabile domandarsi se il docente mentor (o aspirante tale), in quei nove
anni che gli serviranno ad accreditarsi per avere gli “scatti di competenza”,
avrà tempo per leggere qualche libro.
Ma anche altri scenari si profilano: un docente più propenso
a coltivarsi intellettualmente, e magari disinteressato a scatti di carriera e a
incrementi stipendiali così congegnati, risulterebbe un docente di serie B?
Economicamente e socialmente svilito?
Pertanto riteniamo opportuno, in questo ambito, non
agganciare la progressione in carriera a sistemi di “crediti” del tipo
prospettato nel Rapporto, ma
piuttosto rendere realmente obbligatoria la formazione in servizio nei fatti,
oltre che come affermazione di principio. Questo significa, nei nostri auspici,
non solo incoraggiare la partecipazione a corsi e conferenze o lezioni
concedendo i permessi di studio, ma, soprattutto, impegnare il docente in
progetti di ricerca e sperimentazione didattico-disciplinare, in cui lo studio
sia accompagnato da attività seminariali, lavoro cooperativo ed elaborazione
didattica.
Inutile nascondersi che una formazione così concepita esigerebbe
un investimento economico, oltre che un impegno politico, contraddetto,
peraltro, dalle misure previste dalla Legge di stabilità 2015. Riqualificare la
scuola significa anche iniziare a pensare ai docenti non solo come un capitolo
di spesa, ma, soprattutto, come risorse intellettuali.
Il rapporto della
scuola con l’Università. La formazione iniziale e in servizio degli insegnanti andrebbe
affrontata in un’ottica di sinergia e di reciproco scambio tra docenti dell’università
e della scuola, nel solco delle SSIS e di alcuni progetti-pilota nazionali. La separazione, se non la
contrapposizione, della ricerca dalla pratica didattica, la prima affidata alla
sola Università e la seconda unicamente alla scuola, è inefficace oltre che fuorviante,
poiché nelle aule di entrambe le istituzioni formative didattica e teoria,
ricerca e azione, oggi sono allo stesso modo inscindibili, interdipendenti e
necessarie.
Conclusioni
Su altre questioni, connesse con il documento, sarà indispensabile
avviare un confronto serio, approfondito e a lungo termine; ci limitiamo per
ora ad una lista sommaria che comprende:
-
la realizzazione effettiva dell’obbligo scolastico a 16 anni;
-
gli interventi compensativi finalizzati all’integrazione
delle situazioni più svantaggiate ed alla loro perequazione con quelle più
fortunate;
-
la “lenta digestione” (cui si accenna nel Rapporto) delle Indicazioni ministeriali;
-
la messa a regime delle scuole di specializzazione (TFA);
-
la costruzione di curricoli dal basso realizzando forme
concrete di autonomia scolastica;
-
il ruolo della valutazione di sistema.
L’arco dei problemi
aperti è talmente ampio che non possiamo, per il momento, che ribadire il nostro
interesse e la nostra disponibilità a proseguire nella riflessione e nel
confronto.
A.D.I.sd.
Associazione degli
Italianisti – Sezione didattica
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________