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Carla Sclarandis : "Insegnare la letteratura oggi tra lingua e storia, tra discipline e sperimentazione"
1. Il romanzo Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz1,
uscito già qualche anno fa. Si racconta una saga memoriale che
comprende quattro generazioni di una famiglia di ebrei dell’Europa
orientale, emigrati tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni
del Novecento, chi oltre Atlantico chi in Palestina.
Fra questi il
signor Yosef Klausner è un professore di letteratura, un fiero
sionista, «nazionalista liberale illuminato stile diciannovesimo
secolo» (p. 90), che fa incidere sulla facciata della sua casa a
Gerusalemme la scritta “Giudaismo e umanesimo”. Per contro,
l’autore, nipote del professore e più giovane di lui di due
generazioni, è un uomo alla ricerca di sé, assediato dai risvolti
tragici dell’interminabile conflitto medio-orientale. Il romanzo
ruota intorno al doppio movimento di ricerca delle radici e di
allontanamento dalla tradizione, culminato - questo allontanamento -
nella scelta dell’autore-narratore di cambiare in Oz il
proprio cognome Klausner. La scrittura si rivela per lui uno
strumento formidabile per stabilire la propria verità senza
appiattirla sulla parola altrui, ma nemmeno in totale indipendenza da
questa. Così la rivelazione del suicidio della madre al termine
della sua infanzia getta una luce retrospettiva sulla sua vita
personale, senza tuttavia scioglierne le contraddizioni.
D’altra parte, fin dai capitoli iniziali l’autore pone il
problema del rapporto tra la parola e la verità; ma al lettore
voyerista che ad ogni dibattito pubblico gli chiede dei riscontri
oggettivi, d’ambiente o autobiografici, sulle vicende narrate
risponde che «il cuore della storia […] sta fra lo scritto e il
lettore» (p. 44), non fra lo scritto e l’autore. Il lettore non
deve chiedersi se i fatti sono veri oppure «è così, lo
scrittore?», bensì servirvi del racconto per interrogare se stesso,
e le sue sue «cose. Quanto alla risposta, [può] serbarla tutta per
[sé]» (p. 46).
In letteratura la sostituzione dell’autore con il lettore non solo
è sempre inevitabile ma è ance necessaria perché, conclude Oz :
«Chi è nato di donna porta il peso di due genitori
sulle spalle. Dentro il grembo.
Per tutta la vita non fa che sostenere loro e la folta
schiera di chi è venuto prima:
genitori di genitori, avi e avi di avi: come una scatola
cinese sino all’ultima generazione.» (p.46)
2. Traguardare l’insegnamento della letteratura nella scuola
attraverso lo sguardo discosto di Oz ci consente di sorvolare
sull’attualità dell’umanesimo e sull’utilità
dell’inutile, mettendoci al riparo da un possibile
frantendimento circa la natura intrinsecamente storica della
letteratura. E ci legittima, al contempo, a riesaminare la cultura
umanistica che nella scuola resiste, nonostante le trasformazioni
istituzionali ad essa sfavorevoli, assumendo su di noi l’ambivalenza
del rapporto autore-opera-lettore dal punto di vista sia di noi
lettori-docenti sia dei nostri lettori-studenti.
Il manuale che sta sullo sfondo di questa tavola rotonda mette a
sistema, mi pare, le buone pratiche che hanno modificato
l’insegnamento della letteratura nella scuola secondaria e, seppur
in continuità con il modello canonico della storia letteraria,
ipotizza un paradigma per la nostra disciplina almeno parzialmente
rinnovato. Riposizionando la letteratura nello specifico delle
trasformazioni in atto, tra riformulazione dei curricoli di studio e
adozione delle tecnologie multimediali nella didattica d’aula, il
nuovo libro assegna alla letteratura una missione difensiva rispetto
allo spaesamento che ci minaccia dentro e fuori della scuola e che è
accresciuto dalle Indicazioni nazionali ministeriali per i
Licei, con la loro evidente tendenza restauratrice.
La letteratura e noi assume come criterio dello studio
letterario l’apertura interdisciplinare e interculturale,
l’attenzione puntata sulle grandi opere italiane ed europee,
l’individuazione di temi interni alle opere in funzione di una
storia dell’immaginario occidentale; propone approfondimenti
critici on-line e sollecita docenti e studenti a considerare
la letteratura un serbatoio di immagini ed esperienze sempre
significanti. Il giovane lettore-interprete -
che nel corso di tre anni cambia profondamente - è chiamato così ad
accostare autori e testi per approssimazioni successive, alla ricerca
di un senso della vita anche qui attraverso un doppio movimento di
avvicinamento e di distanziamento dei classici rispetto a sé - come
per Oz rispetto alla sua tradizione. Un manuale dunque che
presuppone una scuola ancora capace di farsi carico del valore della
letteratura quale forma di conoscenza irrinunciabile e che prova a
rimotivare gli insegnanti di italiano perché continuino a
fare da ponte tra un corpus di testi, consacrati dalla
tradizione, e i giovani, assediati dalla coazione al vuoto del
presente in cui vivono, ignari del peso della Tradizione e degli
Ideali (con la lettera maiuscola).
Ma la domanda che oggi non possiamo eludere è se i buoni manuali -
certo necessari - siano sufficienti a garantire una qualche
unitarietà alla formazione di base e, soprattutto, di quale
enciclopedia “disciplinarista” la scuola possa responsabilmente
farsi carico.
Il quadro normativo, che tenta di recepire le
indicazioni di Lisbona, di fatto riduce gli spazi oggettivi per tutti
i saperi disciplinari. E questi spazi saranno destinati a contrarsi
ulteriormente se dovesse diventare legge l’ipotesi di
riduzione dei curricoli di istruzione secondaria a 4 anni (in corso
di sperimentazione in circa 200 licei su tutto il territorio
nazionale).
Già ora l’orientamento imposto per
via legislativa è di aggregare le materie affini per assi culturali,
chiedendo alle singole discipline di ridefinirsi in rapporto alle
altre in funzione di competenze multidisciplinari trasferibili, cioè
volte a mobilitare processi psico-cognitivi e relazionali durevoli.
Il loro peso, dunque, piuttosto che dall’incontestabile valore
culturale specifico, sedimentato nel tempo lungo della storia,
dipende dal cosiddetto valore d’uso in funzione di due
obiettivi: a. la costruzione di un sapere duttile e riorientabile,
fungibile alle richieste di un mercato del lavoro sempre più
indeterminato, globalizzato, colonizzato dal multimediale; b. la
costruzione di competenze sociali, fra le quali spiccano quelle
linguistico-comunicative e quelle digitali. In questo contesto le
discipline non sono più un fine bensì un mezzo, da declinare
all’interno di un modello socio-costruttivista della conoscenza,
che da un lato presuppone dall’altro impone l’uso delle nuove
tecnologie.
3. Ad essere onesti questa, “rivoluzione copernicana” nella
scuola media di secondo grado non consegue soltanto a una
irresponsabile resa della formazione alla logica dell’economico e
alla tirannia del presente. Essa, al contrario, recepisce - forse
troppo supinamente ma inevitabilmente - trasformazioni di contesto
complesse. La scuola - lo sappiamo - è sempre
più un luogo articolato di esperienze plurali, di intersezioni fra
tradizioni geograficamente e culturalmente lontane, fra cultura alta
e bassa, fra il mondo dei libri e quello della strada. Essa continua
a ospitare sperimentazione, innovazione, accoglienza, ma al contempo
non è più un fattore di mobilità individuale verso l’alto2.
Descritta come aperta a tutti, fino a fare “dell’individualizzazione”
dei percorsi formativi un nuovo mantra
del politicamente
corretto, è sempre meno di tutti.
Nella scuola inclusiva e presidio di democrazia sancito dalla
Costituzione,
si ha l’impressione di non riuscire più ad abbattere le resistenze
messe in campo soprattutto dalle fasce più deboli, che con la loro
apatia mostrano la frattura tra il mondo reale in cui vivono e quello
ideale che i docenti rappresentano. Sul piano epistemologico, poi,
non possiamo misconoscere l’ibridazione dei linguaggi e
l’esaurimento di una autoreferenzialità specialistica dei saperi
disciplinari, conseguenti l’uno e l’altra alla “svolta
linguistica” in filosofia, nel passaggio alla “società
post-industriale”. Se anche noi, come persone ben prima che come
insegnanti, siamo costretti a fare la spola tra conoscenza
scientifica ed ermeneutica, tra argomentazione e modalità
metaforiche del discorso, per i nostri studenti, che crescono in
questa permeabilità, può essere più motivante un insegnamento che
si faccia carico di tali ibridazioni e li abitui a riconoscerne le
forme e il senso.
Soprattutto se non siamo d’accordo con una società che rifiuti la
cultura e i suoi canoni, e al contrario vogliamo conservare il valore
che proprio l’urto con la cultura ha nella formazione alla
cittadinanza, sono legittimi i dubbi
su un paradigma letterario ancora troppo ancorato
all’Ottocento-Novecento (e questo dubbio riguarda anche la
filosofia e la storia). In una scuola che non voglia rinunciare né
alla qualità delle conoscenze né a favorire - lo dico con le
parole di Angélique Del Rey - il passaggio verso la molteplicità
delle dimensioni del qui»3
, cioè non voglia rinunciare a produrre una cultura del legame fra
soggetti, anche quando sradicati o comunque alla ricerca di una
propria ragione esistenziale, allora dobbiamo riflettere sul fatto
che contano di più incontri approfonditi con pochi autori e/o opere
che un elenco quanto più lungo possibile di nomi.
Negli ultimi dieci anni la manualistica
ha ridotto il numero degli autori e dei testi antologizzati, ma, in
ottemperanza alle disposizioni di legge, ha bilanciato i tagli con
le espansioni e gli approfondimenti on line. Di fatto le
soluzioni proposte non risultano mai del tutto persuasive, perché il
problema di fondo non sta in impossibili compressioni della storia
letteraria e nemmeno nell’indovinare forme di narrazione più
attraenti. Esso è a monte.
Quando nel 2010 uscirono le Indicazioni
nazionali per i licei, a fronte
dello sgomento degli insegnanti per il loro elefantismo, autorevoli
italianisti lamentarono l’assenza di molti autori. A distanza di
tre anni credo sia chiaro a tutti che in quell’enciclopedismo
bulimico si nasconde la conferma che alla letteratura non si
riconosce un ruolo formativo nemmeno nell’istruzione liceale. In
vista della revisione della prima prova dell’Esame di Stato per il
prossimo anno scolastico, non mancano le ipotesi di eliminare
definitivamente l’analisi del testo letterario, la cosiddetta
Tipologia A, in quanto scelta da una minoranza residuale di studenti,
e perciò assai poco significativa ai fini della valutazione
complessiva delle competenze d’italiano della popolazione
scolastica al termine del curricolo. Nel suo ultimo libro, Leggere,
scrivere, argomentare (Laterza,
Roma-Bari 2013), Luca Serianni s’interroga seriamente su quale sia
la finalità della prima prova dell’esame conclusivo della scuola
media di II grado e su quale forma essa debba assumere. Secondo lo
studioso questa dovrebbe verificare le competenze di letto-scrittura
e essere del tutto svincolata dagli studi disciplinari effettivamente
svolti. Infatti, nelle numerosissime esemplificazioni delle
riscritture che si possono richiedere a partire da un testo dato, nel
suo libro nn compare nemmeno un testo letterario. La
letteratura è considerata un sapere specifico, perciò separata
dalle competenze linguistiche; ma le conseguenze sono facilmente
prevedibili per il destino del suo insegnamento in una scuola in
piena emergenza sia sul versante della comprensione che della
produzione dei testi.
4. L’ADI-sd si sta interrogando su come
nell’ultimo triennio della superiore si possa declinare lo studio
della letteratura, in relazione al fatto che l’educazione
letteraria nel primo biennio è praticata soprattutto in funzione
della competenza trasversale di lettura. Si è lavorato sui grandi
autori e sulle grandi opere in circa 130 classi di 45 scuole dei
diversi indirizzi di studio, con netta prevalenza dei licei. Il nesso
inscindibile fra storicizzazione e attualizzazione; l’approccio
interdisciplinare e per percorsi tematici; le manipolazione dei
testi, di tipo saggistico, intertestuale o intersemiotico hanno
confermato che la competenza letteraria ad
usum scolastico è sostanzialmente
competenza interpretativa
e che essa, in quanto tale, meriterebbe pari dignità delle
competenze linguistiche, matematiche, fisiche ecc. Essa, infatti, è
competenza trasferibile e sottoponibile a verifiche autentiche, da
valutare però, secondo modelli duttili, che non confondano - direbbe
Horkheimer - l’esattezza con la verità.
Ma la sperimentazione metodologica d’aula,
proposta dal progetto Compìta,
ha anche rilevato l’urgenza di una
riflessione condivisa che individui i contenuti minimi dello
studio letterario in compatibilità con l’orizzonte sociale di una
scuola frequentata da ragazzi italiani e non italiani e messa alla
prova dai bisogni esplosi di un mondo anche localmente sempre più
parcellizzato. In un contesto scolastico in cui
le emergenze linguistiche e culturali si sommano a quelle sociali, la
scelta degli autori e delle opere non può essere disgiunta dalle
modalità di riappropriazione dei testi letti da parte degli
studenti: ciò che con gli autori e con le opere gli
studenti riescono a fare rende significante il loro incontro con la
letteratura sia sul piano conoscitivo, in rapporto all’acquisizione
di contenuti disciplinari specifici, sia sul piano esistenziale, in
rapporto al percorso di identificazione personale, sia sul piano
metacognitivo, in rapporto alle competenze intellettuali, relazionali
ed espressive .
La partita si gioca in buona parte sul piano della metodologia, da
non intendersi in termini astratti di riflessione sul metodo, bensì
come nostra capacità di inventare delle pratiche didattiche più
incentrate sull’operatività4.
Ma temo che nella scuola secondaria superiore oggi manchi lo
slancio motivazionale dei docenti per sperimentare sul campo la
vitalità della letteratura in questa prospettiva. Eppure sono
convinta che solo un lavoro paziente e coraggioso, interdisciplinare
in senso proprio - dunque concertato nei consigli di classe e calato
nella specificità dei contesti situati - ci possa liberare dalla
frustrazione di una marginalità sussidiaria sempre più
fallimentare.
Se la letteratura si pone alla convergenza fra il dominio della
lingua e quello della storia, in classe è nel confronto della
letteratura con le altre discipline in rapporto a situazioni di
studio concrete che oggi dobbiamo ricercarne un apporto significante.
Per ritrovare un senso al nostro ruolo di
docenti dobbiamo innanzi tutto accettare di metterci in questione.
Vestire di nuovo il vecchio non serve più a nulla e a nessuno,
nemmeno nell’ottica di una “dissimulazione onesta” a favore di
una resistenza militante per l’umanesimo e per la cultura.
1 .
A. Oz. Una storia d’amore e di tenebra
(trad. di E. Loewenthal), Feltrinelli, Milano 2003. Le citaz sono
tratte dal cap. 5, in partic. alle pp. 44-47.
2 .
Enrico Manera, La crisi della scuola,
in Il Ponte 2013; N.
Bottani, Requiem per la scuola,
Il Mulino, Bologna 2013, soprattutto le pp. 65 e seg.
4 .
J. M. Schaeffer, Petite écologie des études
littéraires. Pourquoi et comment étudier la littérature?,
éditions Thierry Marchaisse, 2011. L’autore
affronta la crisi che colpisce lo studio della letteratura dal liceo
all’università, concentrandosi non sulle pratiche della
produzione e del consumo letterari, bensì sull’insegnamento della
letteratura. Tenendo presente una crisi di civiltà che comprende da
un lato le nuove tecnologie della comunicazione e dall’altra
l’identità europea, Schaffer è convinto che occorra
riposizionare gli studi letterari dentro il quadro più generale
delle scienze umane e accettare una pausa filosofica per chiarire le
esperienze-chiave di loro pertinenza: la lettura, l’interpretazione,
la comprensione e la spiegazione («la
lecture, l’interprétation, la description, la compréhension et
l’explication»).